Greenwashing e decarbonizzazione: 3 min di vitale follia?

Greenwashing e decarbonizzazione 3 min di vitale follia

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Greenwashing e decarbonizzazione: 3 min di vitale follia? rappresenta il post che coniuga il dovere morale dello studioso di materie di finanza d’impresa e il professionista che quotidianamente, in trincea, lotta per affermare alcuni specifici aspetti di questa complicata materia degli ESG.

Di questo tema me ne sono occupato già in passato su questo blog, a memoria di tutti vi lascio i link:

Quante volte leggiamo di “impegni per l’ambiente” che si fermano a un PDF patinato? Troppo spesso ESG viene ridotto a storytelling, rating da vetrina e iniziative di distribuzione sul territorio di due spiccioli in pompa magna per “comprare” il consenso.
La sostenibilità vera si vede negli INVESTIMENTI, nel rinnovamento tecnologico di impianti e processi e nei chilowattora autoprodotti e non negli slogan.

Dalle parole ai fatti: un caso concreto di decarbonizzazione

Un esempio coraggioso arriva da una fonderia del Sud Italia, in un’area periferica: Fonderie De Riccardis (Soleto, Lecce). Ne scrivo perché personalmente, per questa impresa, ho immaginato che non ci potesse essere innovazione industriale e tecnologica senza innovazione finanziaria!

In termini pratici, l’azienda ha scelto la via strutturale: elettrificare la fusione e integrare l’intero reparto con un’architettura energetica e di automazione pensata per ridurre consumi, fermi e dispersioni.

Elettrificazione del cuore produttivo

È stata installata una triosystem con tre forni a induzione da 12 tonnellate alimentati da un convertitore in corrente continua comune e due inverter IGBT, per 8 MW di potenza di fusione complessiva. La gestione del carico è flessibile: un forno può lavorare a piena potenza mentre gli altri due operano in parallelo per mantenimento o sinterizzazione. Il tutto è governato da una SPS (PLC) centrale con pannelli JUMI, soluzione che taglia costi d’investimento e manutenzione (non serve un inverter per ogni forno), riduce l’ingombro, ottimizza l’uso dell’energia e aumenta la disponibilità dell’impianto.

Integrazione di filiera impiantistica

A completare il layout: tre caricatrici, un carroponte automatico Bonfanti, un trasporto siviere automatico Progelta e un impianto di depolverazione Dizeta Impianti. Questa integrazione riduce le perdite di processo, migliora sicurezza e qualità, e consente un controllo ambientale più rigoroso. In più, l’impianto fotovoltaico da 2,6 MW fornisce energia rinnovabile direttamente alla fusione; l’integrazione intelligente dei sistemi consente di ottimizzare l’autoconsumo elettrico. L’impianto è in esercizio da gennaio 2025.

Perché tutto questo rappresenta sostenibilità “vera” e non greenwashing?

Ambito scope 1 (emissioni dirette): l’elettrificazione sostituisce combustibili fossili nei processi termici.

Ambito scope 2 (energia acquistata): autoproduzione e contratti elettrici più puliti riducono le emissioni indirette.

Ambito scope 3 (filiera): processi più efficienti e rese migliori riducono scarti, trasporti superflui e impatti lungo la catena del valore.

Smettiamo di misurare il futuro con gli strumenti del passato

Siamo invasi da greenwashing con la veste di rating, label e “punteggi” che pretendono di riassumere la finanziabilità dell’impresa. Molti sistemi d’analisi sono desueti e anacronistici rispetto a ciò che crea valore nel medio–lungo periodo:

  • processi più efficienti,
  • minore intensità energetica,
  • riduzione delle emissioni in tutti gli ambiti,
  • flussi di cassa più stabili,
  • accesso a capitale meno costoso.

Senza questi elementi, l’ESG resta parolaio; con questi elementi diventa strategia industriale e finanziaria.

Da studioso di materie finanziarie mi chiedo allora se, attualmente, sia ancora giusto utilizzare modelli di credito che continuano a premiare bilanci storici letti “in fotografia” (ultimo triennio), garanzie e ipoteche come discrimine, indicatori di indebitamento non stressati su energia e regole future, score settoriali generici e centrali rischi lette senza il filtro dei nuovi rischi (prezzi dell’energia, costo della CO₂, standard europei in arrivo).

In questo modo non solo non si premia ma addirittura diventa controproducente chi ha una visione industriale di lungo periodo e opera investimenti realizzati al fine di operare la vera decarbonizzazione e tagliare la dipendenza dai prezzi dell’energia, stabilizzare i costi con autoproduzione e contratti di fornitura più prevedibili, ridurre le esposizioni a futuri oneri normativi europei (nuove rendicontazioni, tassonomia degli investimenti, dazio climatico alla frontiera).

Di cosa necessitiamo a livello finanziario?

A livello finanziario avremmo bisogno di un cambio veramente del paradigma di valutazione a vantaggio di alcuni valori cardine, quali:

(A) Efficienza operativa e rischio energia

Quanto ci si pone vicino all’indipendenza energetica? Quanta energia ci si autoproduce? Per quanti anni si è contrattualizzato il prezzo dell’energia? Purtroppo la dimenticanza è un grande limite umano e quanto accaduto all’indomani dello scoppio della guerra in Ucrania è già un ricordo benché, ancora, la guerra non sia finita!

(B) Emissioni e tenuta alle regole

Tonnellate di CO₂ per tonnellata di prodotto, contate bene (emissioni dirette, da energia acquistata e lungo la filiera): è la base per obiettivi chiari e verificabili.

Quanto costerà la CO₂ nei prossimi 3–5 anni? Inglobare questo aspetto nella propria carta del prodotto offre uno spaccato concreto agli acquirenti di cosa si stia veramente acquistando.

(C) Costo dei finanziamenti parametrato all’impatto ambientale

Le banche dovrebbero premiare chi migliora i numeri fisici (meno kWh/tonnellata, meno CO₂) con tassi migliori attraverso risultati misurati e verificati.

Il miglioramento passa solo da un cambio sostanziale delle regole del gioco, altrimenti ESG è solo fuffa!

Se vogliamo che le imprese cambino davvero, vanno cambiate le regole del gioco. Quali sono allora gli indirizzi di riforma concreti?

1) Dati fisici obbligatori nei dossier di credito

Rendere standard (come un bilancio) i dati su chilowattora per tonnellata, quota di autoproduzione, emissioni per tonnellata, tempo di entrata a regime e costi evitati per la CO₂.

2) Valutazione per scenari su energia e CO₂

Ogni progetto va analizzato in almeno tre scenari di prezzo dell’energia e con una traiettoria crescente della CO₂. Si finanzia ciò che regge anche nello scenario peggiore.

3) Premi di tasso solo su risultati misurati

Condizioni migliorative vincolate a obiettivi fisici e verificati (non a semplici pubblicazioni). Se non si raggiungono, scatta il conguaglio.

4) Verifica esterna dei numeri chiave

Per le imprese che non raggiungono specifici parametri e soglie di sostenibilità o che bypassano i criteri attraverso società collegate, consorelle estere o joint venture “lavatrici” di sfruttamento ambientale sanzioni pecuniarie.

5) Allineamento con la politica commerciale europea (dazio climatico)

Il meccanismo di adeguamento alla frontiera sul carbonio (CBAM) è già realtà in UE: allinea il costo della CO₂ dei beni importati a quello interno, per non penalizzare chi investe in Europa.
Proposta: evolvere verso un aggiustamento alla frontiera che consideri anche la conformità ambientale complessiva dei fornitori esteri (oltre al solo carbonio). Se importi da produttori non allineati, paghi l’equivalente all’ingresso.

6) Moduli e metriche standard in tutta l’UE

Modelli informativi omogenei (in coerenza con il quadro europeo di rendicontazione e con la tassonomia degli investimenti) per confrontare imprese e progetti in modo trasparente.

Mi sento, a conclusione di questo lungo post, frutto dell’ennesima notte insonne, che c’è un’ultima cosa da dire, fuori moda ma necessaria.

Si celebra spesso il coraggio di andarsene. È una scelta legittima. Ma andrebbe, ogni tanto, celebrato anche il coraggio di chi sceglie di restare: perché ama quello che fa, perché vuole creare valore dove è nato e dove vive, perché si carica sulle spalle la responsabilità di dare lavoro e stabilità sociale a molte famiglie, invece di chiudere tutto e “godersi la vita”.

Il caso che ho raccontato, uno dei tanti che popola (ancora per poco se non si adotta una seria politica industriale nazionale ed europea) non è solo tecnica e finanza: è scelta civile. È dire qui investo, qui rischio, qui formo persone, qui aiuto una filiera, qui pago stipendi, qui riduco emissioni davvero.

Questo è il coraggio che serve oggi all’Italia: restare, migliorare i processi, affrontare i costi, rinnovare il giudizio dei numeri. È così che la sostenibilità smette di essere un racconto e diventa industria migliore, credito più intelligente e valore che resta nei territori.

Immagine di Pasquale Stefanizzi
Pasquale Stefanizzi

Esperto in Rapporti
Banca-Impresa & Crowdfunding

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